Articolo da “Eco di Bergamo” – Intervista all’on. Fontana sulla strage dei Carabinieri
L’INTERVISTA
GREGORIO FONTANA
“Li ho visti: erano lì a lavorare per la pace”
“La popolazione irachena aveva buoni rapporti con i militari italiani.Questo lo abbiamo visto con i nostri occhi, ce l’hanno confermato gli uomini sul terreno. Quello che è successo a Nassiriya è opera di terroristi, non della gente e il terrorismo può colpire dovunque”. Gregorio Fontana, 40 anni, deputato di Forza Italia eletto a Bergamo, dal 20 al 23 ottobre si era recato in Iraq con la commissione Difesa della Camera. In quei giorni aveva anche offerto al nostro giornale un’insolita corrispondenza disegnando per la zona di Nassiriya una situazione seria ma non particolarmente a rischio. È sconvolto dopo l’attentato. “I militari italiani stanno facendo un lavoro di pace, hanno rimesso in funzione la centrale elettrica, portato un ospedale nuovo che purtroppo in queste ore è pieno di feriti…”.
On. Fontana, in ottobre ha incontrato anche due bergamaschi a Nassiriya. Ha notizie?
“Ho conosciuto Ivan Beretta, di Romano di Lombardia, ristoratore, che so essere ora in Libano e il sottotenente Giovanni Parigi, di 35 anni, di Ranica, alpino, orientalista. È portavoce del colonnello Scalas e so che lavora proprio nella palazzina esplosa. Non risulta in nessun elenco di feriti o dispersi e penso stia bene. Non mi è stato possibile finora mettermi in contatto con Nassiriya, anche perché i trasmettitori Gsm erano stati piazzati proprio sul tetto dell’edificio esploso e le comunicazioni sono cattive”.
Lei è stato nella caserma dei carabinieri?
“Sì, non è una caserma, è la vecchia Camera di commercio che è stata trasformata in uffici per il contingente dei carabinieri. Dall’altro lato, oltre il fiume, c’è il campo logistico con le mense e i dormitori. La palazzina degli uffici è proprio sulla strada, c’è un sacco di gente che entra e esce e le dieci del mattino sono un’ora di punta”.
I carabinieri quindi non erano protetti?
“Anche un muro di cemento non avrebbe risolto molto. Inoltre è stata una precisa scelta quella di mettere i carabinieri, con le loro divise di polizia, in centro città e i militari in periferia. Proprio per sottolineare che si è lì per aiutare la ricostruzione, non per suggerire un’idea di occupazione. La palazzina era anche il centro di reclutamento della nuova polizia della città, la collaborazione con gli iracheni è reale, ci era stata confermata anche da giornalisti locali che avevano fatto distinzioni precise e motivate tra noi e altri contingenti”.
Che tipo di città è Nassiriya?
“Una città povera perché Saddam l’aveva costretta quasi in schiavitù essendo zona sciita. La centrale elettrica veniva fatta funzionare anche prima della guerra poche ore al giorno e nonostante il fiume non era possibile irrigare i campi. Ma è una città che ha molte potenzialità economiche e la gente vuole la pace, vuole stare bene. 11 nostro apporto è stato fondamentale e la gente l’ha capito. L’Iraq è un Paese che ha risorse, strade, scuole. Certo, i costi della ricostruzione sono pari a 15 anni di petrolio, tuttavia l’Iraq non è un deserto come l’Afghanistan”.
Cosa cambia adesso?
“C’era il progetto di sostituire man mano i militari con tecnici civili, la S. Giorgio era pronta a rientrare con parte del contingente. Adesso…”.
Torniamo a casa?
“Siamo in Iraq per costruire la pace, non sarebbe giusto rientrare. Faremmo un piacere ai terroristi. Non ho visto gente festante per le strade dopo l’attentato contro gli italiani. Che tra l’altro ha causato anche molte vittime irachene. Certo questo attentato va contro la coalizione che si stava muovendo intorno all’ONU, contro l’impegno dell’ONU di ricostruire il paese e riconsegnarlo agli iracheni. Certo noi italiani siamo meno abituati di americani o inglesi a mettere nel conto delle operazioni militari le perdite umane. Abbiamo pagato un tributo di sangue altissimo”.
Avete incontrato qualcuna delle vittime?
“La compagnia di Laives. Alcuni erano arrivati solo da una settimana.
Susanna Pesenti