Articolo da “Eco di Bergamo” – Missione in IRAQ/1
ITALIANI SOLDATI DI PACE
da “Eco di Bergamo” del 22 ottobre 2003 a pagina 7
Più che il rumore dei motori dell’aereo militare che ci sta portando a Kuwait City, a risuonare nelle orecchie della delegazione di parlamentari in visita ai contingenti italiani in Iraq è l’eco delle minacce terroristiche di Osama Bin Laden, diffuse come al solito da Al Jazira. L’Italia è entrata ufficialmente tra gli obiettivi dello sceicco del terrore e della sua Al Quaeda. E noi, in dieci tra deputati e senatori, siamo i primi esponenti delle istituzioni italiane in visita in Iraq. Certo si tratta di una coincidenza, ed è ovvio per tutti che Bin Laden ha risposto a suo modo alla decisione del Consiglio di sicurezza dell’Onu; certo che il dispositivo militare mobilitato per garantire le nostra sicurezza per i tre giorni della nostra missione è di prim’ordine. Ma la sensazione di sentirsi un possibile obiettivo del terrore è palpabile a bordo.
Eppure questa missione parlamentare sembrava aprirsi sotto i migliori auspici. L’approvazione all’unanimità da parte del Consiglio di sicurezza dell’Onu della risoluzione presentata dagli Stati Uniti sta, forse, segnando l’inizio della fine delle divisioni nel mondo libero sulle operazioni di nation building in Iraq e, più in generale sulla strategia globale con cui combattere il terrorismo internazionale e costruire una pace duratura.
E anche nella discussione politica italiana qualcosa sta mutando: con l’eccezione degli integralisti del “pacifismo” imbelle e antioccidentale, nell’opposizione si fa strada, a fatica, l’idea di collaborare con il governo a sostegno del nuovo ruolo internazionale dell’Italia. Ne sono prova le aperture del segretario dei Ds, Piero Fassino, e del leader della Margherita, Francesco Rutelli, forse memori del nostro atteggiamento responsabile e costruttivo quando, dall’opposizione, siamo stati determinanti nell’approvare l’intervento in Albania prima e la guerra al dittatore serbo Milosevic poi. Due momenti in cui abbiamo preferito l’interesse della Nazione all’opportunità politica di provocare la caduta del governo Prodi prima e del governo D’Alema poi.
Sono solo sei le ore di volo necessarie per raggiungere Kuwait City, la capitale di quel piccolo e ricco Paese che nel 1990 Saddam Hussein invase in una notte per annetterselo, iniziando così la sua guerra al mondo libero, combattuta per oltre un decennio. Il Paese del mondo islamico, che Osama Bin Laden nel suo ultimo messaggio ha definito “la base delle forze sioniste” e ha incluso tra gli obiettivi terroristici di Al Quaeda. Una minaccia che rende tesi i volti, pur accoglienti, del nostro ambasciatore Vincenzo Prati, del generale Adriano Santini, Comandante del contingente italiano in Iraq e del colonnello Giuseppe di Miceli, addetto per la difesa venuti ad accoglierci all’aeroporto.
Una minaccia che costringerà la nostra visita nel più rigido protocollo di sicurezza e mi impedirà il piccolo fuori programma che avevo in mente: una puntata, anche fugace, a cercare il ristorante italiano “La Piazza”, dove è “chef-patron” Ivan Beretta, bergamasco di Romano di Lombardia e ambasciatore della cucina orobica nel mondo arabo, dove è costretto dalla religione mussulmana a preparare i casoncelli con la carne di vitello e ad accompagnare il brasato e la polenta con l’acqua minerale.
In dieci minuti siamo in albergo, il Radisson Sas Hotel, dove ci sistemiamo nelle stanze e ci riuniamo nella sala Hal-Ashemi II, un salone gigantesco di 1.200 metri quadri, dove l’ambasciatore Prati e i vertici della rappresentanza diplomatica speciale in Iraq – il capo delegazione ambasciatore Antonio Armellini, il generale Carlo Cabigiosu, consigliere militare, e l’ambasciatore Mario Emanuele Maiolini, vice governatore della regione sud dell’Iraq – ci illustrano in dettaglio la situazione del contingente italiano dislocato nella regione di Dhi Quar, un’area del sud Iraq, a maggioranza di popolazione Sciita, grande quanto la Campania, il cui centro principale è la città di Nassirya. Qui la Brigata “Garibaldi” comandata dal generale Vincenzo Lops, ha ricevuto le consegne dal comando statunitense lo scorso 20 luglio e ha operato fino a pochi giorni fa, quando l’8 ottobre il suo posto è stato preso dalla Brigata “Sassari”, sotto il comando del generale Bruno Stano.
I quattro mesi di attività operativa, iniziata per la verità con l’arrivo l’8 giugno a Nassirya dei primissimi uomini del cosiddetto “advanced party” che hanno aperto la strada al grosso del contingente, hanno messo in luce le notevoli capacità delle nostre Forze Armate. Nell’arco di un mese, dall’8 di giugno al 7 di luglio, gli italiani hanno dispiegato il contingente; un’operazione che ha richiesto un’imponente organizzazione dei trasporti: dieci voli “charter” civili, quattro navi da carico, undici aerei cargo “Antonov”, venti voli dell’Aeronautica Militare, trentacinque convogli stradali da Kuwait City. Il 20 luglio, giorno di consegna ufficiale del comando sulla regione, le nostre forze armate avevano realizzato un dispositivo massiccio: 2.400 tra uomini e donne di tutte le armi delle Forze Armate, esercito, carabinieri, marina e aeronautica; con un grande dispiegamento di mezzi: 571 mezzi ruotati, 44 mezzi da combattimento, 19 macchine operatrici, 6 elicotteri e 487 containers. Un dispiegamento di forze che ha consentito di svolgere un importante ruolo a protezione della popolazione. A differenza, infatti, di altre regioni dell’Iraq, nella regione di Dhi Quar non ci sono minacce terroristiche – ci spiegano – e il problema che più impegna il nostro contingente è la criminalità comune che cerca di far razzia degli aiuti umanitari per rivendere derrate alimentari, farmaci e altri aiuti al mercato nero.
Oltre proteggere la popolazione locale – con la quale sin dall’inizio i militari italiani sono entrati in rapporto – il nostro contingente si è distinto in operazioni di sicurezza e ripristino della legalità, con importanti risultati nel sequestro di armi, nell’assicurare alla giustizia iraquena numerosi criminali comuni e nel fornire organizzazione e addestramento alla nuova polizia locale, con ottimi risultati. I militari italiani, infatti, hanno contribuito con efficacia all’opera di costruzione delle strutture civili dell’Iraq. Dove in meno di sei mesi la coalizione degli alleati ha conseguito, anche nel campo della sicurezza, risultati forse impensabili: 40.000 nuovi agenti di polizia, un nuovo esercito democratico, più di 400 tribunali e un sistema giudiziario indipendente.
Oltre a garantire la sicurezza nell’area e l’ordinata distribuzione degli aiuti umanitari, sin dalle fasi iniziali della loro presenza, i militari italiani si sono distinti nella prima ricostruzione delle infrastrutture civili. In un Paese in cui, Saddam regnante, la capacità produttiva di energia elettrica si attestava intorno ai 300 megawatt, oggi si producono più di 4.500 megawatt, più di quanta se ne producesse nell’epoca prebellica; e le nostre Forze Armate hanno contribuito a questo risultato e da subito hanno garantito che, nella regione di loro competenza, l’erogazione di energia elettrica passasse rapidamente da 12 a 24 ore al giorno; ed oggi la centrale elettrica di Nasiriyah fornisce energia anche al di fuori del settore assegnato agli italiani, alle province di Maysan e Muthanna, alla città di Kut ed anche ad alcuni quartieri di Baghdad.
I dati che il comando della missione ci illustra sono lusinghieri e inequevocabili. E sono la miglior prova che la scelta del governo italiano di far parte della “willing coalition” guidata dagli Stati Uniti non è stata una decisione bellicista ma, al contrario, una scelta di pace che, innanzitutto, sta migliorando la vita quotidiana degli iraqueni, in particolare in questo momento così importante nell’evoluzione dello scacchiere mediorientale.