Articolo da “Eco di Bergamo” – Missione in IRAQ/2
L’ALPINO BERGAMASCO:
GLI IRACHENI HANNO FIDUCIA IN NOI
da “Eco di Bergamo” del 23 ottobre 2003 a pagina 9
Il secondo giorno della nostra missione è nelle zone operative; con un C 130 dell’aeronautica raggiungiamo in meno di un’ora l’aeroporto Tallil, il primo avamposto dello schieramento italiano intorno a Nassiria. Da qui iniziamo a incontrare le nostre truppe, per una visita che coprirà l’intera giornata. L’incontro con i soldati, gli avieri e i carabinieri non fa che confermare le impressioni della vigilia. Questi uomini, in Iraq da poche settimane, mostrano insieme l’entusiasmo di servire il loro Paese in una operazione molto complessa e delicata e, una perfetta padronanza del territorio e delle insidie nascoste.
Anche tra loro il minaccioso proclama di Bin Laden ha lasciato il segno, ma non si percepisce timore di attentati. Molti di loro ci dicono di sentirsi sicuri delle misure di sicurezza poste a protezione della loro azione. I problemi dicono, sono nel Nord del Paese, nell’area tra Baghdad e Tikritt, mentre al sud la grande prevalenza della popolazione Sciita è, indirettamente, una garanzia di sicurezza. Gli Sciiti, infatti, sono rimasti troppo a lungo schiacciati dalla dittatura di Saddam per poter concedere libertà d’azione, o addirittura complicità, con le cellule terroristiche legate al vecchio regime.
Qui a Nassyria la popolazione locale ha stabilito un ottimo rapporto con gli italiani.
I nostri militari non sono una forza di occupazione non lo pensano nemmeno gli iracheni e mi fa sorridere che qualcuno lo pensi in Italia.
La nuova centrale elettrica, la raffineria, cinque nuove scuole, due fabbriche; sono queste le infrastrutture che gli italiani hanno realizzato o stanno completando. Opere che cambiano la vita quotidiana degli iracheni e che hanno dato dell’Italia un’immagine di Paese amico. Un’immagine che emerge anche dai media locali, come osserva il sottotenente Giovanni Parigi, bergamasco nato 35 anni orsono a Ranica, e che fino a pochi mesi fa conduceva la sua vita tranquilla di libero professionista.
La storia di Giovanni Parigi è esemplare dell’intelligente approccio delle nostre Forze Armate. Giovanni Parigi si è congedato sei anni fa dal servizio di leva con il grado di sottotenente del corpo degli alpini e oggi unico alpino nella spedizione, ha chiesto di far parte del contingente. All’esercito ha offerto la sua perfetta conoscenza della lingua araba e del mondo islamico più in generale; così è stato richiamato in servizio, e ogni giorno svolge il monitoraggio dei media locali, dai quali raccoglie preziose informazioni sulla situazione di tutta la regione sotto il controllo italiano. Ed è proprio l’ufficiale bergamasco a confermarci che la fiducia nei confronti del nostro contingente cresce di giorno in giorno: la protezione data agli aiuti umanitari di primo intervento, la difesa della popolazione dalla criminalità locale, la ricostruzione delle infrastrutture, l’aiuto che viene offerto alle famiglie nelle difficoltà di ogni giorno, stremate non dalla guerra ma dalla miseria in cui Saddam le aveva condannate; gli interventi delle organizzazioni di volontariato sono la realtà quotidiana della presenza italiana in Iraq.
A sera siamo di nuovo a Kuwait City, dove l’ambasciatore Prati offre un grande ricevimento in nostro onore, dove è presente la comunità italiana in Kuwait e l’equipaggio della nave San Giusto, la nave appoggio che ha trasportato le truppe italiane.
Ed è proprio la San Giusto che visitiamo nell’ultimo giorno della nostra missione. Anche tra questi uomini la sensazione di efficienza e di capacità operativa delle Forze Armate italiane è netta e si può ben comprendere e condividere l’orgoglio e la soddisfazione manifestati di recente dal ministro della difesa Antonio Martino, il quale ha raccontato come, secondo il segretario generale della Nato, lord Robertson, le truppe italiane siano nel gruppo di testa per attività svolta tra i contingenti presenti in Iraq.
Dopo quasi settanta ore di intensa missione lasciamo Kuwait City per fare ritorno a Roma. Se alla partenza prevaleva il timore per le minacce del terrorismo islamico, al ritorno a dominare è la consapevolezza del fatto che l’Italia gioca oggi un ruolo da protagonista nello scenario mondiale e che dispone di uomini, mezzi e capacità per poterlo svolgere al meglio. La guerra al terrorismo internazionale sarà ancora lunga e difficile, ma l’accordo che si fa strada tra i paesi del mondo libero e la capacità delle forze armate di tutti i paesi nella costruzione della pace e dello sviluppo delle nazioni sono le migliori armi a nostra disposizione.
Ora, dopo la decisione del Consiglio di Sicurezza, è probabile che la nostra missione debba proseguire. E, al di là del giudizio sulla guerra che ognuno di noi ha maturato a suo tempo e che resta consegnato alla storia, oggi abbiamo di fronte un Paese da ricostruire, popolazioni che hanno sofferto e che meritano una speranza, una democrazia che sta vedendo la luce. L’Italia ha ben dimostrato e può ancora dare molto. Oltre ad eccellenti Forze Armate, l’Italia può mettere in campo il suo volontariato e una storica capacità nell’aiuto umanitario. A me non resta che auspicare che il dialogo che a Roma si è aperto su questi temi tra maggioranza e opposizione sia fecondo e contribuisca a dare dell’Italia l’immagine di un Paese che lavora attivamente per la pace, così come stanno facendo i nostri uomini. E credo che il Parlamento, quando discuterà della possibilità di proseguire la nostra missione in Iraq terrà conto di quello che abbiamo visto. Noi parlamentari, che abbiamo avuto la fortuna di osservare le cose da vicino, potremo dare un contributo.